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Quinta dimensione


Stelle grosse come tordi,

appollaiate sui Peloritani,
da prendere nel cavo della mano
dentro la notte, nera e trasparente
quasi quanto le notti del Sahara.

Credevo, inseguendoti, d'amarti
e ero solo un turista dell'amore.
Per tutto questo tempo t'ho cercata
- chi sa perché -
come un bambino, altrove.

Rode come la brace
la calce viva che mi porto dentro
e che, per sopravvivere, divora
le cellule nervose in cui è incarnato
il segno a fuoco della tua presenza.

S'è fatto indistinguibile il divario
tra di essa e l'immagine riflessa,
che s'allunga all'indietro nello specchio
via via che si consuma la candela.

Unica chance, se ti voglio seguire,
è inoltrarmi a ritroso, contro senso,
nel vuoto di memoria del futuro.

Bisogna oltrepassare, come Alice,
la lastra riflettente di cristallo
e, senza aprirla, varcare la porta
per cui s'accede alla quinta dimensione.

Forse da dentro mi aspetti a quel varco:
recessivi,
sugli estremi planari dell'inconscio,
come la sorte s'aprono i tuoi occhi.

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