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Pelle d'oca


M'aderisce la luce rovente
del sole sul corpo di piombo
come una doratura
spalmata su una statua,
come un involucro secco
sotto il quale la pelle
rabbrividisce a fatica.
Accanto al tronco giacciono le braccia,
remi stracchi buttati sulla spiaggia.

Se aprissi gli occhi rimarrei abbagliato:
il sole apre tenaglie incandescenti
su di me a perpendicolo;
lo scudiscio del vento mi sfiora,
alzando e abbassando sul viso
una nera carezza piagata.

Il mare a quest'ora secerne
elaborate correnti,
più calde, più amare di sale.
A chiazze, quaglia la luce
nell'arsura rifratta
del mare assopito,
spolverato di canfora
e confetti indorati,
raggrumato all'intorno, gorgogliando,
in zolle farinose,
brulicanti di pulci di mare.

Sbuffi alternati del mare!
Sono uno storno con le ali spezzate,
un cefalo fritto insabbiato;
sono un mollusco scavato,
una valva fedele
al regime incalzante dell'onda
che sbatte,
rimbalza,
ritorna tacita
in un buio di riverberi
e si ringuatta.
Disossato, sento
nel dormiveglia la bava del mare
avventarsi ansimante all'arena
ai miei piedi e poi sgusciare
via riversata lungo il lido:
fa ghirlanda, leggera come pomice,
all'estremo sperone
d'una linea tenace di sabbia,
orlando il nuovo flutto che sormonta.

Di colpo ventate imperiose,
in soprassalto sferzante
la lunga pazienza del mare,
sventagliano, attorcigliando
come imbuti di latta i capezzoli.
Di sotto la sabbia mi logora
con mille punte le spalle,
la bocca zigrinata e intorpidita
ha un sapore ferrigno;
la melma è fermentata
sotto la sabbia fradicia;
di nuovo, piccola lucida pulce,
l'occhio saltella irrequieto
dentro il solito tondo.
Di fuori vi è un distacco netto
da cui mi ritraggo un momento,
aggirandomi all'orlo,
allucinato.

Supino, mi sento sbandare,
mancare di sotto l'appoggio,
come in un vuoto d'aria.
Ritorna ondulante,
a sbalzi disuguali,
un'emozione vana e intermittente
come il nostro contatto.
Io non so com'è stato:
senza volerlo, inavvertitamente
abbiamo stemperato
quasi fino allo spasimo la voglia.
E ormai
è come se tra noi
fosse interposto un vetro
che disseziona il tuo dal mio respiro.
Attimi in serie,
improlungabilmente percepiti
solo in funzione di quelli a venire
e che, come i tuoi baci intrattenuti,
quanto i grani di sabbia,
quanto i capelli persi m'appartengono!
Uno ad uno incompiuti,
sono scaduti assieme in un momento.
Tenerezza avvilente
e squallida smania repressa
di una quieta, amorosa insofferenza,
d'una assidua e sgomenta dolcezza!

Le corde sbattono
con sfilacciature schioccanti,
corrugandosi
accorrono onde
presso la chiglia
ad allibire d'un tratto:
è una processione emergente
di pallide creste di spuma
che s'allungano a lambire,
fremendo, pupille scolorite.
Neutra vergogna
di rimescolare acremente
- cementando alla cieca
perché non frani il tutto -
l'intimo scontento
e di avvertirmi, raggricciando, io stesso
(svuotato d'amore
e qui in mezzo al mare
- sterilmente allagato
da un affiorare,
da un urgere fisso di perle -
l'adolescente
solitario e sfuggente di un tempo),
così come il limone allega i denti
e lo stridio dei gabbiani la pelle,
o come, dopo la calmeria, avvertono
che torna l'apprensione
- mentre sciabordando s'imbarcano
refoli e spruzzi -
le vele,
e rabbrividiscono al vento.

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