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Mare lungo


Il tempo s'è voltato allo scirocco;
incombe basso il cielo su Lavezzi.

Santa Maria, Budelli, Cavallò.
Il mare passa sopra la frontiera
senza fare una ruga .....
conosce solo il vento che lo assalta,
conosce solo il vento che lo spiana.

Sorge offuscata la settima luna.
Caprera, Razzoli, Isola Piana:
con gli occhi ridenti e trasgressivi
la gente passa a guado in fila indiana,
da un'isola all'altra, a braccia alzate,
convinta di varcare il confine
virtuale tra l'Italia e la Francia.

Razzoli, Budelli, Lavezzi:
sei giorni di maestrale imperversante
e di sole protervo.
Dicono i sardi
che se dura tre giorni
durerà ancora sette, il maestrale;
e poi tre volte sette, e tre anc&ogravera.
Dal mattino alla fine del giorno
- che il pomeriggio dilata e rimanda -
sola una stella a campeggiare in cielo.
E appena aperti gli occhi, l'indomani,
è lo stesso meriggio, fin dall'alba.
Non avrai, diportista alla giornata,
non avrai altra stella fuor di me.

Scalda al punto giusto le rocce
il sole cogente;
giunge allora il vento dalla Corsica
e con lunga carezza avvolgente
le erode, le palpeggia e le arrotonda.
Giovani corpi dai glutei rotondi
e i fianchi scarni
si offrono nudi alla stella del giorno
su lastre stondate di granito,
disposte intorno come are solari.
Andar per mare, per un uomo solo,
è fors'anche un modo congeniale
di stare meno solo con se stesso.

Folle riso del sole sulle Bocche!
Come una candela votiva
con dentro conficcato un chiodo aguzzo,
il mio bisogno di grazia.
Annegano nel mare che sprofonda
pinnacoli a strapiombo.
Scendo, stringendo in mano la zavorra,
come un pullman che corra in discesa
le marce in folle, tolto il freno a mano.
Se esiste una chiesa degli abissi
gli ex-voto sono áncore perdute.

L'onda avanza sullo scoglio
e l'abbruna
come l'ombra di nuvola che passa.
Così un amore, a volte,
attraversa una vita e se ne adombra.
Se esiste una ragione perch'io t'ami,
ci sei nella misura in cui mi manchi.

Come una foca l'onda mi depone
su una roccia rosata,
tiepida come un corpo a sangue caldo.
Aderisco alla pietra levigata,
modellata a ricalco;
le mie mammelle premono i tuoi seni,
palpita il mio corpo che s'asciuga
come un polpo su una piastra.
Un'onda mi viene a cercare
per lambirmi le gambe come un cane.

S'agita il mare fino a che trabocca
nelle lagune chiare di Lavezzi,
che con occhi di cielo lo decantano
con una regolare scolmatura.
In lieve velo l'onda si vetrifica
sopra rocce incavate come grembi
e si stende a asciugare su spiaggette
che le fanno da filtro.
Vorrei che il mio amore rinvenisse,
aprendo gli occhi in un altro emisfero,
la stessa decantata desistenza.

Sola, una stella campeggia nel cielo,
oscurando tutte le altre.
Sola, una donna irrora le mie arterie
soffocando il battito del polso.
Picchia colpi d'ariete alle tempie
forse il sole autolatra,
forse solo la mia pressione a picco.
Come cerca l'acqua la verga
del rabdomante,
così il mio turgore adolescente
sente a distanza il bisogno di te.

C'è calma grande stanotte a Giannutri.
Stamattina, lasciando le Bocche,
abbiamo preso, per una mezz'ora,
una sventolata da scuffiare.
I flutti s'attorcevano agli scogli
con lingue furibonde;
cadeva di traverso e ribolliva
la pioggia-lavacro su Lavezzi.

Adesso c'è una strana atarassia:
il calo di pressione ha rispianato
con un ferro a vapore il mare caldo.
In rada non c'è un alito di vento
ed a perdita d'occhio è calmeria.
Vedi come tutto ha un proprio tempo?
Non urla più il tuo corpo nella mente,
il desiderio sventato di te
approda a un'insondabile abulia.
Scende la notte - e s'annuncia la luna -
su un tappeto felpato.
Sulle coste spioventi di Giannutri
finalmente i gabbiani hanno pace.

Non avrai, marinaio della domenica,
non avrai altra sirena fuor che me ....

No, no, mia cara, donna dell'altr'anno;
c'è solo questo, che hai come esaurito,
ecco, la mia capacità d'amare,
forse per una, cinque, sette estati ;
al più, anc&ogravera, per tre volte sette...
La barca è ferma come fosse in secco;
ma oscilla il mio Chivas nel bicchiere.
Stanno tornando in fase, sorso a sorso,
le mie disordinate pulsazioni.

Viene dal buio di Giannutri, improvviso,
un vulnerante abbaiare di cani.
Fluttua la barca sopra l'acqua cheta:
sarà passata qualche nave al largo.
Con uno sfiato d'organo silente
fa un grande respiro la risacca.
C'è il senso d'una strana incubazione.
Nuovamente abbaiano i cani:
mi sembra di vedere sotto costa
un corpo abbandonato che galleggia;
forse è la muta spoglia d'un subacqueo.
Cullato appena, col bicchiere in mano,
il senso del mare si ritrova
in quello che chi l'ama non sa dire.
Non serve tanto liquido, la notte;
basta quello che c'è nella bottiglia.
Sciangotta l'acqua ai fianchi della barca.
M'affaccio ai bordi:
il mare da ogni lato è calmo piatto.
Pure ogni tanto, a grande intermittenza,
giunge chi sa da dove un'onda lunga
densa come pece che si spande.
In un cinema muto,
come il pane che al buio si rigonfia
lievita il mare nel suo lento impasto,
sollevando la linea d'orizzonte.

Rolla forte adesso la barca;
scappa il bicchiere sul piano d'appoggio.
Giunge chi sa da dove
questo mare forastico.
Morbide e placide ondate s'allungano
una sull'altra, come cera fusa.
Lunghi sfiati di un organo muto
fanno da sottofondo, a ogni colata,
al loro lento e ignaro spargimento.

Entra, onda a onda, nell'udito,
come un ultrasuono,
questo mare silente.
Entra, onda a onda, nella mente
come un male dell'anima.
Non è più imballato il mio polso.
Pure sento che adesso mi pulsa,
come se l'auscultassi in un altro,
con un battito estraneo ai miei precordi
benché ne abbia la stessa frequenza.

Passa un gozzo, che torna dalla pesca.
"Che cos'è questo mare?" gli chiedono
da una barca vicina.
"L'è mare vecchio, mare di risulta."
"E ... da dove viene?"
Il pescatore sì e no si degna:
"E chi lo sa da dove viene il mare?
Forse dal sud, forse dalla Sardegna...."

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