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Il vento di Myconos (Nostos)


"... E capirai perché come garitte,
come fortini con le feritoie
sono le bianche casette di Myconos..."
Quale vento stanotte m'ha cercato ?
Il vento, il vento
che trasporta in volo planato,
come su tappeti volanti,
gli uccelli di passo.

C'è un'aria di sfida nello sguardo
con cui segue l'uccello il cacciatore
che sa d'averlo impiombato nell'ala.

Oh sì, il vento ! Il vento di Myconos
che strappa ciuffi di peli alle capre.

Sul letto, con la sigaretta spenta,
eri già altrove mentre me n'andavo
con gesti da vigile urbano
e il cuore d'un piccione viaggiatore.

Il vento, il vento dell'isola,
che subito asciuga sulla spiaggia
una stentata goccia di sudore
nel corpo arso da un sole che non scalda.

Splendeva sui paraggi di via Veneto
il sole adamantino di dicembre,
ch'entra duro nelle ossa ai malati.
Capivo che stavolta era diverso.
Affidai il braccio per l'anestesia
ma senza il fatalismo di altre volte.
Portavo nella carne mio fratello :
sentivo il suo affanno di affiorare
dal limo greve della sua incoscienza
e il ridiscendere a occhi chiusi al fondo.
Con la lingua imbrigliata da un cordone
di carne, udivo mia figlia chiamarmi
e, in risposta, stringevo - mi pareva -,
stringevo senza forza la sua mano
che non sapeva trattenermi a galla.
Già è così difficile uscire
dal corpo della madre; chi può farci
venir fuori dal nostro stesso corpo
quando diventa la nostra prigione?
E non finiva mai la risalita;
come quando, da trenta metri sotto,
mi riportai un compagno d'immersione
avviticchiato come un polpo al collo,
scambiando con lui il respiratore,
bocca a bocca, e sostando ogni momento.

Oh sì, il vento ! Il vento
che rabido sferza i marosi
per impedire che si approdi a Delos.

Solo verso sera, sotto costa,
s'acqueta un poco il mare e si distende
e cede infine, palmo a palmo, il campo
il vento di mare.
Rientrano i bagnanti, imbacuccati;
rientrano le barche nel porto
dalle acque ancora increspate.

Come un grande mantello si solleva,
con liquido respiro, la marea.
L'ultimo sole ripassa i contorni
delle isolette, divenute nitide.
Sul mare, arrossato da sott'acqua,
lunghi lenzuoli gonfi si rimboccano,
uno sull'altro, fino alla risacca.

Ma raffiche di sabbia nella faccia
costringono a chiudere gli occhi.
Con la luna si leva risoluto,
e alle onde fa un tagliente contropelo,
il vento di terra.

Oh sì, il vento ! Il vento
che scompiglia le penne ai gabbiani
e li fa rannicchiare tremanti
nelle fenditure degli scogli.

Forse è per questo che la notte a Myconos
la gente si stipa nelle viuzze...
Con il giubbotto chiuso fino al mento
m'incammino sul molo, contro vento.
Con doppie legature, fianco a fianco,
sussultano le barche, a lumi spenti;
e sono quasi tutte barche a vela.
Il vento stormisce nelle sartie
con stridore assordante.
Sono migliaia di cicale metalliche
che friniscono insieme un "fortissimo".

Cinque ragazze, dentro il sacco a pelo,
dormono sulla spiaggia, ridossate;
un'ondata più lunga le lambisce
e gli rimbocca di sotto la sabbia.
Qualche ora fa le avevo viste in cerchio
sedute in terra, l'una in faccia alle altre,
passarsi la cicca, come il calumet.

Il vento, il vento notturno di Myconos,
che arruffa i capelli alle ragazze
ed ai ragazzi dalle lunghe chiome
che sbucano nel porto dalle viuzze.

Il mio lettino è una stretta cuccetta
nella stanza flottante nel buio
come se fossi a bordo di una barca;
ho i piedi all'ombra ed ho la luna in faccia.
Forse non c'era sfida nel tuo sguardo
e nemmeno alcun altro intendimento;
io per te ero solo un replicante.

Ma c'è una cosa che non puoi riprenderti:
l'amore che al di là del capolinea
dei miei percorsi inconsci,
quest'amore che al margine estremo
della mia identità hai spalancato,
non ha bisogno della tua presenza.
Io me lo stringo addosso col lenzuolo
che mi fa da vela e da coperta.
C'è una soglia per ogni privazione:
l'eccesso, di per sé, ci anestetizza.

Dove vanno, a frotte, i delfini?
E le figlie del vento, inanimate
come quaglie allo stremo, sulla spiaggia?
Strano che i proprietari delle barche
non dormano a bordo, a quanto sembra...
Saranno anch'essi a tirar tardi a Myconos,
per non sentire il richiamo del vento...
Io invece, se avessi la barca,
sotto la luna vorrei andare a Delos.
In questo mare altero e smemorante
vorrei cullarmi dentro una bireme
in un liquido oblio, per millenni.

E' più dolce del sonno il dormiveglia:
i sogni non sono tormentosi
e su essi si veleggia come in surf.
Solo per un attimo, al risveglio,
rivelano un senso profondo,
come un quadro mentre prende forma
al tocco da medium dell'artista.
Il tuo modo di vivere è lo stesso
dei divoratori di giornali,
dei tifosi di calcio alla partita:
l'ansia di stare al passo con l'effimero.
Mi può far male solo fino a quando
chiederò all'orizzonte un nuovo giorno.

Il mare,
il mare che nel tempo si protende
da civiltà sottese alle presenti
e con lungo lavacro le redime,
il mare,
refluente da templi sommersi,
ha deposto per noi ai nostri piedi
perché prendano forma solo adesso
dall'inconscio di chi li scolpiva
i corpi dei guerrieri addormentati
nell'acqua, su un letto di sabbia;
corpi perfetti, di contemporanei,
ma con gli occhi di chi non ha più fretta.

Un'onda sopraggiunta contro tempo
appozza la prua della barca
e fa impennare la cabina a poppa.
Non c'è altro da fare che tentare
di raggiungere Delos a nuoto.
Nuotavo e nuotavo, cercando
di non guardare l'orologio al polso;
dal movimento del sole capivo
ch'ero nell'acqua da molte e molte ore.
Guardai finalmente il quadrante:
ma segnava sempre la stessa ora.
Vedevo però il fondale basso
per cui intesi ch'ero nello Ionio
dalle parti di Locri e di Roccella;
non poteva essere troppo lontana
la battigia. Provai ad allungare
un piede, ma non tastavo il fondo.
L'acqua era bassa, meno di due metri;
ogni duecento bracciate provavo
a alzarmi in piedi, ma calavo sotto.
Mi ricordai di quando, da bambino,
vidi protese nell'acqua ai miei piedi
le case d'oltremare di Messina.
Con l'acqua al petto, nel lido di Reggio,
stavamo col fiato sospeso
sull'orlo di un pozzo mentale,
quando un tale, col palmo delle mani,
batté sulla lente specchiante
incollata alla cornea del mare.

Qualcuno schiaffeggia la porta.
Voglio strapparmi dagli occhi le bende
anche se sono fresco d'intervento.
Ma li sento murati dal cerume
che m'impedisce d'uscire dal sonno.
Qualcuno prende a spallate la porta.
Mi ritrovo seduto, con la testa
dalla parte dei piedi del letto.
Balzo su col cuore in tumulto
e, mentre poggio i piedi nudi a terra,
so già ch'è lei che ha bisogno d'aiuto
e che non può aspettare ch'io mi svegli.
Una folata mi strappa di mano
e spalanca nel buio il battente.
Nuvole in corsa oscurano la luna;
neppure un grillo canta nella notte.
Un'ombra s'allunga; alle mie spalle
viene presa d'assalto la persiana.
Chiudo la porta e corro alla finestra:
le tamerici scopano la sabbia;
giunge intenso l'odore del fico.

Il vento,
il vento febbricitante di Myconos!
Passa sotto la porta e la finestra,
fa improvvisi tourbillons sul pavimento
e possiede, sul letto, il lenzuolo
animandolo come un fantasma.

La stanza ancora dondola e sussulta.
Dal tuo scaltrito volto di fanciulla,
dal tuo corpo acerbo e irrequieto,
da te stessa il tuo amore mi protegge.
Di quest'amore tu sei stata l'esca;
ma il legno che brucia, di se stesso,
delle sue stesse fibre s'alimenta.
Attendo cauto il sorgere del sole
sperimentando il mio stato di single.
Avanza sul vuoto l'acrobata
- avanza su se stesso mentre esplora
il filo teso con il piede prensile -
cauto avanza, un passo alla volta,
sul filo della propria solitudine.

Oh sì ! Il vento, egemone dell'isola,
il vento che scortica i declivi,
isterilendo le vacche scarnite,
e manda i maschi a fare i marinai.

Curioso che i guerrieri di Riace
non si siano dissolti appena emersi,
come ogni sogno quando acquista un senso.
Il vento a quest'ora nel porto
arpeggia sottilmente nelle sartie.
Ne varia il suono e trova nuovi accordi
secondo la lunghezza delle corde
e secondo la forza delle raffiche.

Barrisce un traghetto nel crepuscolo
cercando l'ingresso del porto.
Un ronzio sfiora il lobo dell'orecchio:
c'è una zanzara che si sveglia adesso,
quando vorrei poter prendere sonno.
I soli insetti che avevo finora
visto nell'isola erano le vespe;
ma è forse un segno ch'è caduto il vento.
Qualcuno vorrebbe far rivivere
i dinosauri, traendo il DNA
dal loro sangue succhiato da insetti
ritrovati rappresi nell'ambra.
Dalla zanzara che m'ha punto in fronte
potrebbe rivivere il tarlo
che mi rode la notte il cervello.

Un gabbiano s'ala su uno scoglio
scaldando le ali, prima del decollo.

M'alzo dal letto con gli arti a compasso
e una grande fiacchezza nei ginocchi.
Il tuo amore si nutre e m'anemizza
come una sanguisuga sotto pelle.
Mi rode: ma è ormai un'azione a vuoto,
come quella d'un topo prigioniero.
Ho visto uno storno in una stanza
mimare, d'un insetto inesistente,
l'inseguimento in volo e la cattura.

Ecco a che serve, a Myconos, il vento !
Notte e giorno girano le pale,
senza uno scopo, dei mulini a vento.

Me n'andrò ancora; lascerò quest'isola
ammalorata dalla sua malia.
Come i salmoni troverò la rotta,
vincendo con le braccia il magnetismo
col quale fai impazzire gli strumenti;
so adesso che hai introdotto nel sistema
un virus che sconvolge i miei programmi.

Fu abbandonata da Teseo nel sonno
Arianna, nell'isola di Nasso:
ansavano al vento notturno,
come otri, le vele insaccate.
L'aveva abbindolato con un filo
per condurlo con sé nel labirinto
nel quale l'amore si ritrae;
tanto più in là si ritrae, mano a mano,
quanto più fiduciosi ci s'addentra.
La verità è che il filo ha un solo capo
e che il labirinto è senza uscita.

Ricordi quel settembre a Maratea ?
Corresti appena sveglia sul terrazzo:
il mare stava ancora eviscerando
nel golfo il suo cuore di cristallo.
Por../Tasti la mano alla gola...
ma subito un velario di ritegno
s'interpose tra gli occhi e la visione;
tale è a volte il pallore dell'alba
che dal suo stesso eccesso è soffocato.
Così m'accade ora che sei lontana:
se lo fisso, il tuo volto svapora
come in una foto sovraesposta.

E il tuo grido quel giorno al tramonto ?
Come una gola azzurra di colomba
il golfo palpitava, trasmutando
dal blu cobalto al verde acquamarina.
Sul mare traboccava da un braciere
d'oro una lenta colata di lava.
Adagiata sul fiume di brace
alla deriva te n'andavi nuda,
senza scottarti, come chi cammina
scalza, su un letto di carboni ardenti :
ti seguivo muovendo solo i piedi.
Di tanto in tanto uno dei fiori d'acqua
che ti galleggiavano intorno
se ne veniva, inavvertito, a darmi
un lieve bacio urticante nel petto.
Poi dolcemente vennero ingoiati
gli isolotti del golfo ad uno ad uno;
per ultimo scomparve Santo Ianni.

Forse alla nostra miopia si rivelano
solo togliendo gli occhiali i miraggi.
Cala il sipario prima che intendiamo
e a noi resta il biglietto strappato,
come a teatro, a spettacolo finito.
Futile dea dal corpo adolescente,
con lampi di mica negli occhi
ed i seni dorati dal tramonto!
E' dentro gli occhi il sipario che scende:
ha le sue cateratte la memoria,
specie quando vogliamo rivedere
in sogno un sogno che abbiamo sognato.

S'inoltrano in mare gli amanti
come Alice entrava nello specchio;
cercano dimensioni al loro amore
- di sé perdutamente innamorato -
che siano almeno a misura d'oceano.
Ma prima o dopo tornano alla riva
portando, a dondolo, un secchiello d'acqua.
Un po' come l'amore è la poesia.

Anche i salmoni varcano a ritroso,
per ritrovare l'infanzia, l'oceano.
Vent'anni addietro, nel mese di agosto,
venendo da Roma, senza soste,
scendevo giù per la valle del Noce.
A Praia mi veniva incontro il mare
ed io gli entravo in grembo a perdifiato
spogliandomi in corsa sulla spiaggia.
Poi riprendevo la costiera calabra
per ritornare dalla mamma a Reggio.

Ma i luoghi dell'infanzia son soggetti
anch'essi a un'occulta subsidenza.
Riuscii a dissimulare per un anno
a me stesso che mia madre non c'era.
Avvampavano ancora la bocca
i peperoncini tumescenti,
conservati da allora nel freezer.
Ma col tempo il basilico appassiva
ed il mare erodeva la spiaggia
tutt'intorno al lido di Reggio.
Così seppi che s'era abbassata
la soglia della casa della mamma
e ch'era sceso di due metri il luogo
dove ogni anno, ad agosto, m'aspettava.

Sai qual è il contenuto della flebo
che da tre giorni bevo con la vena ?
E' una soluzione d'acqua e sali,
simile al siero ed all'acqua marina.
Pesa come un battaglio sul cuore,
e ne rende metallici i rintocchi,
pesa come un'allodola morta,
a Capodanno, la cometa spenta.
Sarebbe bello addormentarsi in mare
con l'acqua in gola che disseta e nutre
e, volteggiando, planare sul fondo,
dove s'addensa l'ombra degli assenti.

Lì,
dove il grande pianoro viene arato
dalle ancore infeconde dei partenti,
lì, come nella macchina di Wells,
ridestarsi su un letto di sabbia,
nel mare che confonde la memoria
e che dall'onda lunga del suo sangue
in un bagno inesausto si rigenera!
Cosa c'è di più dolce per un naufrago
ch'essere risvegliato da Nausicaa?

Ma più d'Itaca è dura la Calabria,
madre severa verso i propri figli
che non si siano svezzati per tempo
e continuino a starle troppo addosso:
mentre torni dai tuoi a cambiare i fiori
ti sigilla la bocca con la terra.

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