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Ecce tibi filius


Hanno spigoli netti le ombre
delle case sventrate di Grozny.

Nere, la luna spinge madri insonni
tra mucchi di neve alla ricerca,
ogni notte, in spazi troppo bianchi.

Cercano la loro via alla vita,
la loro via alla morte, i nostri figli.
Svoltano, a un isolato di distanza,
da un altro lato; ed è per questo che
è così raro che li ritroviamo.

L'attesa di ogni madre è una moneta
che subisce ogni volta una tonsura.
Stringe forte alla gola in un nodo,
spolverato di bianco, il fazzoletto;
imperlate di bianco la fronte,
le palpebre. Passa sulle labbra,
il vento, e le dissecca come un lapis
emostatico, e via spazza le strade
schiaffeggiando bandiere bruciacchiate.

Visori dell'ansia, solo gli occhi
ardono nelle occhiaie come carboni.
Guidano a una ricerca dissennata:
non della mamma, ma di munizioni,
abbisognano i figli, se vivi;
e pesano troppo, se morti,
perchè nessuna madre al mondo possa
riportarseli indietro sulle braccia.

Accanto a corpi illividiti giacciono
ferree ghirlande, le sole che il vento
non spazza: nastri di mitragliatrici,
cingoli spezzati di goffi
e fumanti carri disarmati.

Lì, fermato per sempre e ancora in fuga
come un pompeiano calcinato,
lì, madre, quasi una foto di guerra,
lì in cima alla torretta puoi guardare,
come a un monumento familiare,
all'immolato corpo d'antracite
d'un figlio di madre lontana.

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