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T'Amo di due amori

Dotato della purezza di tocco dei lirici greci (o di un Arturo Benedetti Michelangeli), e insieme di una sensibilità modernissima. Corrado Calabrò entra nell’anima per sempre.
La donna, bellissima e sfuggente, sempre sul punto di essere afferrata e perduta, viene indagata da Calabrò nei suo recessi con l’esattezza crudele del chirurgo e con la struggente dolcezza dei trovatori. Donna come richiamo inspiegabile e come "altro da sè", donna come presenza limbica e come corpo inquietante, donna che può suggellare con uno sguardo il destino d’un amore e ... d’un uomo.
L’amore può annegare negli occhi di una donna, come si annega nel piacere del mare. Il mare... pochi poeti hanno sentito il mare come Corrado Calabrò. Onnipresente, palpitante fondale, il mare svolge nella sua poesia la funzione del coro nella tragedia greca. Il mare è una specie di lago amniotico, metafora e realtà del nostro transito amorfo su questa terra, oceano che riempie tutte le depressioni del pianeta senza riuscire a colmare la nostra solitudine, sulla cui superficie, come su un'amaca, galleggia senza senso la nostra vita.
Il mare che nel tempo si protende e che livella, con la sua durata, le civiltà trascorse e le presenti, il mare della Magna Grecia, dal cui grembo sono emersi per noi, come se soltanto adesso prendessero forma dal profondo dell’inconscio dell’artista, i guerrieri di Riace, magicamente presenti nel nostro tempo dopo essersi cullati per millenni in un liquido oblio: "corpi perfetti, di contemporanei, ma con gli occhi di chi non ha più fretta".
Il mare come specchio cangiante dell’effimero e come pozzo abissale, interiorizzato, del bisogno d’infinito della poesia...

Guerino Giorgetti

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