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Dentro lo specchio


Uscivi dal portone un po' di sbieco
come una statua è estratta dalla nicchia.

C'era qualcosa
nel modo in cui sgusciavi
per cui sentii che non t'avrei raggiunta.
Ti guardavo, bloccato nello specchio,
e non cercavo neanche di capire.
Un uomo è incapsulato nel suo ruolo
come uno è chiuso dentro l'ascensore:
si guarda nello specchio solo a solo
e preme inutilmente sul bottone.
Né un attore può uscire dalla parte
finché non cala, alla fine, la tela.
La donna può, perché è un altro animale.

Tu però, forse, potevi rientrare
dentro di me se ti avessi chiamata.
Sì, questo sì, ti dovevo chiamare.
Lo credo anch'io, ma quale nome darti ?
Sorella, moglie, madre, amica, amante ?

Eppure, forse, se avessi voluto,
almeno sì, ti potevo chiamare.
Potevo ?
E cosa avevo fatto fino allora ?

Ti vedo allontanare, ben eretta,
senza voltarti e senza avermi udito.
Rimango come una cornice vuota
appesa al muro con il solo vetro,
orbata della terza dimensione.

Sento il respiro rappreso nel vetro
e il silenzio che azzera ogni minuto.
Spettrale quanto un grido senza voce
questo amore può uscire dalla lastra,
che ne fissa le mosse e lo reprime,
e, reincarnato, riprendere fiato
almeno fino a quando spunti l'alba
se, col tuo istinto che somiglia al caso,
in un futuro prossimo passato
verrai a imprimervi ancora le tue labbra.

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